Dal 30 settembre al 29 ottobre
Maurizio Gracceva, un amico, un pensatore originale. Meglio, un frequentatore abituale di pazzi e maledetti (Hölderlin, Céline, Trakl, Benn, Dick), che non solo ha deciso di non rimestare il già detto e né tessere ragnatele dialettiche, ma di servirsi di un’arma non convenzionale, la pittura, per vederci
meglio e di più, e portare a coscienza processi sottili, al limite del percepibile. In breve, il saggista che è in lui si prolunga nell’artista, ché tutto quel muoversi da sciamano intorno a tele, tavole e carte, lasciando tracce, è come di un sensore che trasmetta a chi scrive l’oggetto di cui scrivere, la cosa da pensare.
Per intendere cos’è, si proceda per via indiziaria. Si osservi Il Minotauro, è del 2010 (tecnica mista su tela 90×60) e presenta forme e colori che tornano nei lavori successivi. A dominare sono il rosa-carne
e il rosso-sangue; figure oblunghe, irregolari, spesso circoscritte da un tratto nero, fanno pensare a una dissezione, a viscere premute le une sulle altre all’interno di una scatola rettangolare, la tela.
Non c’è sfondo, solo un sottile contorno color cipria. Nessuna zona franca, o dentro o fuori. Allo sguardo, insomma, s’impone una scelta, o lasciarsi risucchiare, come da un’ossessione, o fuggire altrove.