Maurizio Gracceva, un amico, un pensatore originale. Meglio, un frequentatore abituale di pazzi e maledetti (Hölderlin, Céline, Trakl, Benn, Dick), che non solo ha deciso di non rimestare il già detto e né tessere ragnatele dialettiche, ma di servirsi di un’arma non convenzionale, la pittura, per vederci meglio e di più, e portare a coscienza processi sottili, al limite del percepibile. In breve, il saggista che è in lui si prolunga nell’artista, ché tutto quel muoversi da sciamano intorno a tele, tavole e carte, lasciando tracce, è come di un sensore che trasmetta a chi scrive l’oggetto di cui scrivere, la cosa da pensare.
Per intendere cos’è, si proceda per via indiziaria. Si osservi Il Minotauro, è del 2010 (tecnica mista su tela 90×60) e presenta forme e colori che tornano nei lavori successivi. A dominare sono il rosa-carne e il rosso-sangue; figure oblunghe, irregolari, spesso circoscritte da un tratto nero, fanno pensare a una dissezione, a viscere premute le une sulle altre all’interno di una scatola rettangolare, la tela. Non c’è sfondo, solo un sottile contorno color cipria. Nessuna zona franca, o dentro o fuori. Allo sguardo, insomma, s’impone una scelta, o lasciarsi risucchiare, come da un’ossessione, o fuggire altrove.
Prendere distanza. Le opere del 2015 suggeriscono come. Si apre un varco tra una figura e l’altra e, inserito uno sfondo, si districa, di giorno, la matassa organica e, lavata e sfilettata, la si esibisce come sul banco di un macellaio (Terapia 3, tecnica mista su tela, 74×60); di notte, invece, la si lascia fluttuare in una sorta di liquido amniotico color ametista, così da consentire alle parti di ricomporre le forme, spesso umane, donde provengono (Antiterapia 1, tecnica mista su tela, 105×80; Antiterapia 2, tecnica mista su tavola, 105×80). E non ci si esime, come nel Bardo Thodol, dal documentare il passaggio dal giorno alla notte, che è dolce quando si entra nel sonno, come in Quasi notte (tecnica mista su tela, 120×80), doloroso quando si riemerge, come in Stallo (olio su tavola, 105×80).
Inspirazione, espirazione. L’artista è su un crinale, poi perde l’equilibrio. E il fiume esonda, come ne I Dioscuri (acrilico su tela, 61×51), del 2018, benché il groviglio di organi paia ormai disseccato, dilavato. E c’è una novità, lo sfondo, è quanto resta dell’operazione alchemica di tre anni prima, la zona franca della decisione: restare o fuggire? Ma è una pretesa, Gracceva ne è cosciente, tanto che in Stanno arrivando (acrilico su tavola, 75×65), sempre del 2018, inserisce, a destra e a sinistra della tavola, una cornice punteggiata in nero; un boccascena, quasi a intendere che la fuga è niente più che una finzione. Ma se lo è, si chiede tuttora, l’opera è finita?
Piuttosto, a non essere finito è il travaglio. Lo si intuisce da Prima della battaglia, del 2020 (tecnica mista su legno, 57×35,5), un’opera i cui motivi ricordano Terapia 3. Tornano, infatti, le viscere, che però sono più rade, e torna il banco del macellaio, che vira verso il rosa pallido. Il diradarsi delle figure e lo smorzarsi dei toni segnalano un problema, forse un difetto della terapia, magari non è più efficace. Sicché, di giorno, è inutile applicarla, e persino di notte, se si guarda a Già stato (olio su tela, 200×120), un lavoro del 2021. L’allusione è ai guerrieri di Antiterapia 2, che però sono immobili, nessuna fluttuazione in liquidi violacei, anzi sembrano deposti, uno accanto all’atro, in una fossa comune. A separarli è la calce viva, ma non è perfettamente bianca. È rosa, quindi, c’è una punta di rosso, di sangue, la premessa irrinunciabile di ogni operazione alchemica. Compresa quella, vagamente michelangiolesca, che l’artista tenta nel 2023.
L’articolazione è sempre in due fasi. Nella prima, s’individuano gli eventuali prigioni che le opere già compiute, e persino già esposte, possono contenere; nella seconda, li si monda a dovere e li si libera nello spazio aperto di una nuova tela. Dunque, districarsi dal labirinto, districando vecchie figure imprigionate, questa l’idea; che impone di guardare al finito, al compiuto, come a un non-finito, e finirlo, una buona volta, rimetterci le mani. Si esamini allora la prima fase. A quanto pare, per individuare il prigione occorre, innanzi tutto, distogliere lo sguardo dall’opera donde proviene, distaccarsene emotivamente, è questa la condizione per intervenirvi. Se ciò cui allude originariamente è il mondo organico, la carne e il sangue, si procede alla Disaggregazione (2009- 2023, tecnica mista su tela, 85×53), a identificare, cioè, quanto è destinato a vivere, occultando il resto. Se l’allusione, invece, è all’inorganico, si fa brillare l’opera come un masso che ostruisca una galleria, è il caso di Zabriskie (2013-2023, olio su tavola, 78×108), il point lo aggiungo io. Quindi si osserva la configurazione che ne risulta, ché la speranza, in un caso, è che filtri tra le figure Un po’ di luce (2012-2023, tecnica mista su tela, 75×60), nell’altro, che, grazie all’esplosione, si possa attraversare il labirinto come se a guidarci fosse la stessa Arianna (2013-2023, tecnica mista su tela, 72×85). Conclusa la prima fase, la si documenta; Dopo (acrilico su carta, 76×56), insomma, si dichiara quel che si è fatto, che si è dipinto sul già dipinto, sospinti dal sogno (a indicarlo è l’ametista dello sfondo) di un nuovo inizio, come quello delle Grotte di Lascaux. Infine, si inaugura la seconda fase, si liberano i prigioni, che sembrano ormai carte da gioco. Si chiamano Sogno (acrilico e spray su tela, 80×120), Sospeso (acrilico su tela, 50×60), Danza (acrilico su tela, 68×59), Librazione (acrilico e spray su tela, 80×100), Sospensione (tecnica mista su tela, 58×68), Radura (acrilico su tela, 57×40). Tutto fa pensare a qualcosa di aereo, a un gioco non ancora giocato, del quale, ovviamente, non posso parlare, è solo annunciato. Semmai, se ne parli insieme, a questo serve una mostra, a mettere in gioco la cosa da pensare, quella che l’artista-sensore ha consegnato al saggista.
Per intendere cos’è, a parer mio, basta leggere il titolo.
L'artista
Maurizio Gracceva nasce e vive a Roma. I suoi interessi per la pittura risalgono agli anni della formazione liceale. Si è occupato di saggistica letterario-filosofica pubblicando libri su Céline, Benn, Hoelderlin e articoli su varie riviste. Nel 2006 tiene la sua prima personale